CARMINE CASTELLANO

L’avvocato in bicicletta

di Candido Cannavò da “La Gazzetta dello Sport” del 8-5-2005

L’ho avvistato per la prima volta sotto uno dei giganteschi Ficus magnolioides, opere d’arte della natura che giganteggiano sul lungomare di Reggio Calabria. Lui era là, con i polpaccioni a bomba e la pancia prominente di un cicloamatore della domenica, di quelli che concludono una scalata in osteria. Ma appena si gira, cosa scopro? E l’avvocato, il comandante, l’uomo che ha guidato il Giro d’Italia per sedici anni. E’ Carmine Castellano, detto Elo, con una maglia gialla sulla quale si legge «Gruppo Sportivo Corsera» e un casco rosa con il logo della Gazzetta dello Sport.

Partendo in macchina per la Calabria, ha piazzato la bicicletta da corsa nel portabagagli. Alla guida c’era un altro storico personaggio del Giro, Alberto Della Torre, autista di Torriani, cui mi lega un ricordo da incubo: la discesa dal Pordoi, nel 1984, con quel matto di Moser alle spalle che ti veniva addosso. Le curve erano gemiti sulle soglie del burrone. Il mio stomaco risultava disperso. Torriani, imperturbabile, teneva la sigaretta accesa in bocca.

«Non ho più gli impegni di una volta-dice Castellano – e allora cerco di asciugarmi un po’ pedalando». Nostalgie? In giusta dose. Il Giro è stata la sua vita e io credo che possa ancora valersi, in termini e ambiti giusti, della sua straordinaria esperienza. Gli ricordo un episodio clamoroso: quando Cipollini, al traguardo della Sanremo vinta da Fondriest, sollevò la sua bicicletta e la scaraventò sul lunotto della sua macchina, fracassandolo. «Poi Mario mi chiese scusa. Lui è fatto così…».

Rievochiamo insieme una giornata storica: Atene 1996. Ci lavorammo per due anni. Nel centenario delle Olimpiadi e della Gazzetta, il Giro fu ammesso per la partenza in un luogo sportivamente sacro: lo stadio Panathinaikon, dove i Giochi rinacquero nel 1896 e dove l’estate scorsa ha trionfato Baldini nella maratona. «Quell’evento – dice Castellano – appartiene non solo alla storia del Giro, ma a quella dello sport». Può il patron del Giro – gli chiedo – innamorarsi di un corridore? Torriani s’innamorava solo della corsa. E tu? «Ne ho amati tanti, ma nella mente e nel cuore ci sono un volto e un nome: Marco Pantani». E mentre lui risale in bici coi suoi polpaccioni, ci ritroviamo insieme in una scia di dolore. Ormai lo so: dobbiamo conviverci.