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PARIGI – BREST – PARIGI

20 agosto 2007

di Luigi Capellani

Lunedì 20 Agosto 2007, mattina. Il risveglio non è dei migliori, pioviggina e il tempo non promette nulla di buono. Colazione molto abbondante: la faccio insieme agli amici con cui sono venuto a Parigi, senza fretta, tanto non sapremmo dove andare, visto che siamo senz’auto. Poi prepariamo le bici. Decido di montare i parafanghi, ma riesco nell’intento solo per il parafango anteriore, dato che ho lasciato a casa le fascette per legare quello posteriore. Pace. Monto il portapacchi, per gli indumenti antipioggia e gli alimenti di emergenza. A mezzogiorno andiamo a mangiare qualcosa, poi cerchiamo di riposare un po’, anche se è difficile, data la tensione. Verso le 18 ci alziamo, sistemiamo i bagagli e ci avviamo verso la partenza. È ancora presto, ma molti sono già in fila. Sono già le 21, ho l’impressione che l’attesa sarà lunga e il cielo minaccia sempre più pioggia. Infatti, dopo un po’ inizia a piovere: urgono soprascarpe e giubbino, prima quello leggero e poi quello in Goretex.

Finalmente arriva il momento: sono le 22.30. Purtroppo la pioggia si fa sentire. Se pensiamo che ci aspettano 1250 km, con 11 mila metri di dislivello, non fa molto piacere l’idea di doverli percorrere con la pioggia. Speriamo che smetta. In ogni caso, indossiamo subito anche i pantaloni da pioggia. L’avventura inizia col classico botto: la carovana si muove, dapprima lenta, poi man mano sempre più scorrevole, mentre la pioggia si fa sempre più insistente. Sarà così per i primi 60 km, poi una tregua di circa due ore, che ci permette di levarci qualche indumento di dosso. Vedo più volte i miei compagni, poi li perdo, forse sono davanti, o forse no, in questi frangenti non è facile capirlo. Alle 4.10 arrivo al ristoro di Mortagne-au-Perche. Mentre riempio la borraccia, mi raggiunge uno dei miei compagni, che riparte subito. Dopo un po’ comunque lo raggiungo e faccio un po’ di strada con lui, ma il suo ritmo è troppo basso per me, così lo lascio. Da quel momento in poi sarò solo o, al massimo, in compagnia di ciclisti che non parlano la mia lingua, cosa che non è il massimo, specialmente in caso di bisogno. Ma la cosa non mi preoccupa più di tanto, sono abituato a gestire la situazione come meglio credo: l’importante è non avere i piedi bagnati, cosa che mi irrita terribilmente, e fortunatamente i miei in questo momento sono asciutti.

Intanto si fa giorno, ma la pioggia non smette. Alle 8.35 arrivo a Villaines-las-Juhel (km 223): mangio qualcosa e riparto subito, è bene non raffreddarsi troppo. L’asfalto mi sembra migliorato e il percorso è un susseguirsi di su e giù: la pedalata è ancora buona. M’impegno a proseguire fino al successivo controllo di Fougères senza fermarmi per il rifornimento, cosa che mi riesce perfettamente. Dopo poco più di 3 ore arrivo al controllo di Tinteniac. Qui purtroppo commetto l’errore di non mangiare nulla al rifornimento, cosa che mi creerà qualche problema nel tratto successivo: ma resisto, senza fermarmi, e dò fondo alle scorte dolci che ho sempre con me in abbondanza. La situazione meteo sembra per un momento migliorare, ma la strada è tutta un saliscendi: in realtà si sale, più che scendere, e comincia ad affiorare anche un po’ di stanchezza e di sonnolenza. Resisto e vado avanti, mentre riprende a piovere. Arrivo a Loudéac (km 452) alle 20.50 e mi accorgo, con sorpresa, che sto viaggiando con circa un’ora e mezza di vantaggio sul mio passaggio del 2003: considerando la mia quasi totale solitudine e il maltempo che imperversa, sono moderatamente soddisfatto. Dopo il controllo, breve rifornimento e verifica condizioni bici, il tutto in circa un quarto d’ora. Mentre sto per ripartire, noto che il computerino si è azzerato: la cosa mi fa arrabbiare non poco, perche non potrò sapere quante ore avrò pedalato alla fine, ma non mi perdo d’animo. Mi metto il cuore in pace e ricomincio a pedalare, mentre comincia a fare buio.

All’1.20 arrivo al controllo di Caraix e penso che qui mi fermerò a riposare. Non piove, almeno per il momento. Al refettorio non c’e nessuno, per cui ceno senza fare code e soprattutto senza perdere tempo: un bel piattone di pasta, arrosto, melone, pesche e l’immancabile Coca-Cola. Quando però cerco il dormitorio, ecco la sorpresa: per avere la branda, devi prima aver fatto la doccia e poi ti viene assegnato il posto. Ma ci vuole un quarto d’ora solo per avere il posto. Non posso permettermi di perdere tutto questo tempo, quindi torno al refettorio e mi metto sul pavimento di un corridoio, dove, grazie a dei cartoni, mi accomodo in qualche modo. Arrotolo il giubbino a mo’ di cuscino e cerco di dormire. Chiudo gli occhi per un periodo che sembra un’eternità, poi nel corridoio passa qualcuno e, parlando, mi sveglia: sono passati solo venti minuti. Cerco inutilmente di riaddormentarmi, e allora resto ancora qualche minuto sdraiato, poi mi alzo e decido di ripartire. Penso che ci vorrebbe un caffè, che trovo al bar: non è granché, ma è caldo e mi aiuterà a tenermi sveglio. Guardo l’orologio: sono le tre quando riparto per Brest.

Non piove più. La strada sale verso Roc Trevezel e devo stare attento perché questo tratto non l’ho mai percorso di notte. A un certo punto incontro un banco di nebbia: che sia il segnale che il tempo volge al bello? In effetti, quando si fa giorno, un timido sole mi riscalda e la temperatura sale subito da 12 a 19 gradi. Ecco la discesa da Roc Trevesel, poi ancora dei saliscendi e infine all’orizzonte il mare e il ponte di Brest: è sempre un’emozione; anche se è la terza volta che mi capita, fa sempre un certo effetto. Mi fermo e scatto una foto, poi riprendo la lunga salita che porta al controllo, dove arrivo alle 8.38 di mercoledì. Finora ho percorso 615 km e sono solo a metà della fatica, perché la parte più difficile inizia ora! Riparto dopo aver fatto colazione. Il tempo è buono. Dopo un po’ vengo raggiunto da un gruppetto di italiani: cerco di stare con loro, ma vanno troppo forte, quindi li lascio andare senza rimpianti e proseguo col mio passo. Dopo Roc Trevezel mi fermo per togliermi il giubbino, ma sento del vento contrario abbastanza forte, che non vorrei mi accompagnasse per tutto il ritorno. In questo tratto di strada incrocio i compagni con cui ero partito, insieme ad altri italiani. Penso che, se continuo con questo ritmo, dovrei arrivare a Parigi nella notte tra giovedì e venerdì, in modo da migliorare il tempo del 2003.

Alle 13.15 arrivo a Caraix. Con soddisfazione trovo il self service deserto, prendo e mangio con calma, poi mi preparo a ripartire. Quando esco, però, ecco la sgradita sorpresa: il tempo è cambiato ed è ricominciato a piovere. Decido di non indossare i pantaloni da pioggia, ma dopo Corlay sono costretto a mettermeli, quindi mi fermo sotto un tendone dove la sera prima mi ero fermato a mangiare una zuppa buonissima e un dolce ancora più buono. O forse era la fame… Adesso la pioggia è fortissima, ma comunque devo proseguire. Fortunatamente la strada è in leggera discesa, così arrivo a Loudéac (km 773) alle 17.50. Anche qui riesco a mangiare senza fare coda e riparto. La pioggia cambia d’intensità, ma non smette. Ormai non mi impressiona più di tanto: più che abituato, mi sento rassegnato a questa situazione. Sono quasi sempre solo, pedalo con grande volontà e con il pensiero rivolto verso la meta. La stanchezza non mi ha ancora vinto, il sonno invece mi mette a dura prova: ogni tanto mi si chiudono gli occhi, d’ora in poi ogni occasione per prendere un caffè non va lasciata scappare.

Arrivo a Tinteniac (km 859) alle 22.41. Dopo il controllo e un pasto frugale, riparto, con il tempo che sembra un po’ più clemente. Ma dopo mezzora ricomincia a piovere. Mi accodo a un gruppetto di spagnoli che pedalano con un buon ritmo, mentre la pioggia si fa sempre più forte. Mi fermo per mettermi i pantaloni da pioggia, poi riparto e in breve tempo raggiungo nuovamente il gruppetto degli spagnoli, con cui arrivo al controllo di Fougères (km 914). Sono le 2.25 e cerco il dormitorio, ma la coda è lunghissima. Decido allora di tornare al self service e trovo un angolino, sotto un tavolo, per fare un pisolino. Ma dopo qualche minuto di sonno, un furbone, vedendomi in quelle condizioni, pensa bene di farmi una foto, così mi sveglio a causa del flash. Lì per lì, mi innervosisco e sicuramente non benedico il fotografo. Cerco di riaddormentarmi, ma ormai il sonno se n’è andato, allora mi preparo a ripartire. Al momento sembra che non piova più, ma prima di uscire dall’abitato devo fermarmi per indossare l’occorrente per la pioggia. Adesso sono solo nella notte e le gocce di pioggia sugli occhiali mi creano non pochi problemi di visibilità, soprattutto per le auto che arrivano in senso contrario.

Dopo qualche chilometro riaffiora il sonno. Stringo i denti per non fermarmi, ma, alla vista di una postazione volante di caffè caldo, con marito e moglie molto gentili, cambio subito idea: mi fermo e ne approfitto, ringraziando la coppia di samaritani. Dopo circa un’ora arrivo a La Tannière, dove c’è un posto in cui offrono un po’ di tutto, anche delle buonissime crêpes. Naturalmente ne approfitto. Sono le 10.15 quando arrivo a Villaines-la-Juhel (km 1002). Continua a piovere a dirotto e la gente vicino al controllo ci guarda come fossimo degli extraterrestri, ma credo anche con ammirazione. Mangio qualcosa velocemente e riparto, perché voglio arrivare a Parigi il più presto possibile. Credo di potercela fare prima delle 2 di notte di venerdì. Il più e ormai alle spalle, se solo smettesse di piovere… Non vedo molti altri ciclisti sul percorso, meglio così, almeno non mi faccio prendere dal ritmo altrui. Le gambe girano ancora bene, ma intanto il mio pensiero va anche agli altri amici che erano con me e cerco di indovinare dove siano in questo momento. Arrivo finalmente al controllo di Mortagne-au-Perche (km 1084) alle 15.30, dove mangio qualcosa velocemente e riparto, sempre sotto la pioggia. Adesso pedalo con un gruppetto di tedeschi, che fanno un ritmo ideale per me. Purtroppo, però, si fermano proprio poco prima di un tratto di circa 20 chilometri controvento, così mi lasciano da solo a combattere contro la furia degli elementi. Meno male che è l’ultimo tratto con queste difficoltà.

Quando alle 20.18 arrivo a Dreux (km 1161) non piove più. Dopo il controllo e un panino, riparto, mentre ricomincia a piovere, ma ormai mancano solo 70 km e a questo punto non ci faccio più caso. Dopo mezz’ora mi accodo a un austriaco, che va molto forte, ma non è molto attento alle indicazioni del percorso. Gli chiedo di rallentare, per evitare di sbagliare strada, ma lui non mi ascolta, così, a un certo punto, nell’attraversamento di un paese, finiamo fuori percorso e ci infiliamo in una stradina che ci porta nella direzione opposta alla nostra. Meno male che poco dopo incrociamo altri ciclisti, grazie ai quali riprendiamo la corretta direzione. Procedo insieme a loro per parecchi chilometri. Anche se vanno un po’ piano, preferisco rimanere con loro, non voglio correre il rischio di rimanere da solo in quest’ultima notte. Negli ultimi chilometri si scatena, come sempre, la bagarre. Sulle colline di Rambouillet, alcuni del gruppetto, fino a quel momento docili e tranquilli, danno battaglia e di lì in poi non ci sarà tregua. Riesco rimanere con loro fino all’ultimo strappo, poi li lascio andare. Nella discesa verso Guyancourt raggiungo due ciclisti che sembrano conoscere molto bene le strade, per cui rimango con loro.

Entriamo in città e incontriamo i primi semafori: purtroppo li troviamo tutti col rosso, ma nessuno di noi si azzarda a passare, anche se non c’è in giro anima viva. Ormai il tempo non conta più e nessuno mi potrà togliere la soddisfazione della mia terza PBP. Quando arrivo al Ginnasio è mezzanotte, quasi non mi rendo conto che sia proprio finita. Guardo con soddisfazione il tempo totale: 74 ore e 7 minuti. Considerando tutte le difficoltà e le complicazioni dovute al maltempo, non posso lamentarmi del risultato. Sono veramente contento. Adesso, in attesa dei compagni ancora in giro, ho deciso di premiarmi con qualche ora di meritato riposo: con tutta calma mi sono trovato un posticino sulle gradinate della palestra e, utilizzando i pantaloni e le soprascarpe come coperta e i giubbini come cuscino, mi sono preparato il più bel letto del mondo. Buona notte a tutti!